Il carcere è quel luogo «dove l’unica cosa che si dovrebbe perdere, e non si perde, è la memoria di ciò che è stato prima». Così si esprime uno dei tanti detenuti le cui lettere compongono, come stelle di un firmamento minore, questo intenso libro. Non esiste infatti muro tanto alto e ben protetto o serratura tanto sofisticata da riuscire a tenere fuori ciò che è stato prima: la vita da uomini liberi, più o meno recente che sia, e, soprattutto, le persone che l’hanno animata. Poco importa se i protagonisti di queste storie non hanno nome, se prima di essere detenuti erano tassisti, panettieri o boss della malavita. Identiche sono le condizioni all’interno delle mura carcerarie, come identici i sentimenti che li muovono. Solitudine, frustrazione, rimpianti vengono però mitigati dal semplice atto di scrivere, mettendo nero su bianco i propri desideri – dai più concreti, ai sogni spesso irrealizzabili – certi che dall’altra parte ci sono occhi che leggeranno e una penna pronta a rispondere sempre.
Mario Merola è nato a Casoria (NA) l’8 giugno 1950 e vive a Capua (CE). Dopo aver frequentato l’Accademia Militare di Modena, si è laureato in Scienze Strategiche presso l’Università di Torino. Colonnello di Artiglieria dell’Esercito Italiano, in quiescenza dal 2003, ha già pubblicato: Un giorno di corsa (2006, Lavieri Editore); Le donne quando parlano non fanno rumore (2012, Sassoscritto Editore); L’inferno di Bani (2016, Vertigo Edizioni). Io ho visto è alla sua seconda edizione.