L’esperimento è inedito, per una media di una poesia al giorno, 50 per stagione, per diretta osservazione, ma il risultato o è nell’estasi o non c’è. Il plein air è noto, quel che muta è un clima di strana attrazione, perché quando una cosa viene osservata, resta nelle condizioni della nostra stessa osservazione: è il nostro stesso atto dell’osservare che impone una ben definita forma alla cosa. Il problema infatti diventa presto quello della misura, ma solo dopo quello delle combinazioni. Quando una cosa viene osservata sa che noi l’abbiamo osservata e resta nelle condizioni della nostra stessa osservazione, ed è il nostro stesso atto dell’osservare che impone una ben definita forma alla cosa e al mondo della cosa. Funziona tutto bene e funziona così: i diversi stati, le ampiezze e le sovrapposizioni si miscelano, si crea così il possibile che non è mai stato e non è ancora.
Salvatore Fazia. Sono nato a Crotone dove ho frequentato le scuole elementari, presto catapultato nel Veneto, superata la maturità classica, sono stato lettore accanito di psicoanalisi, prima Freud, poi Lacan, ho studiato Lettere moderne. Laureato a Padova ho insegnato al Liceo Artistico di Valdagno, pubblicando duecento lezioni sulla Poesia. Ho scritto 15 libri, stampati a mie spese presso una piccola casa editrice locale, non più d’una stamperia, nessuna esposizione al pubblico, nessuna vendita e dunque senza pubblicazione, secondo la specie immaginaria di prove d’autore; nel 2011 un saggio, Il principio d’interferenza, richiestomi da Achille Bonito Oliva, è stato pubblicato presso Electa Mondadori in un volume collettaneo di saggi dei più importanti studiosi d’arte internazionali. Entrato tardi in analisi sono venuto a sapere di essere stato vittima del nichilismo idealistico della cultura classica, visitando l’inconscio, non la caverna di Platone, quella di Freud, ho trovato la perversione e la soluzione del mio caso.
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