Quando scopre della transessualità della figlia, Luigi si sente perso, derubato di tutte le sue convinzioni. Non sa come gestire la situazione né come aiutare Roberta ad affrontarla. La prima grande difficoltà è abituarsi al suo nome, “Giorgio”, e reimpostare pronomi e aggettivi al maschile. Un intralcio legato alla forma, una cosa che sembra minuscola, una sciocchezza, ma che è il preludio di altre vicissitudini. Già, perché i problemi non risiedono tanto nel piccolo nucleo familiare quanto nel mondo là fuori, intriso di pregiudizi, futili moralismi e ipocrisia, che ha innalzato muri invalicabili per separare i “normali” dai “diversi”, come se questo avesse un qualche senso. Luigi si mette a nudo, confessa i suoi limiti e le sue difficoltà e nel farlo espone anche le incongruenze e le brutture della società e della Chiesa.
La legge non contempla parole come “normale” e “diverso” e nemmeno il cuore di un padre.
Luigi Lamedica nasce nel 1959. Abbandona presto gli studi e inizia a lavorare in un’azienda dove, col passare del tempo, ha ricoperto diverse mansioni. Ripresi gli studi durante il lavoro, ha conseguito dapprima il diploma di ragioniere e, successivamente, la laurea in Giurisprudenza. Da quando è in pensione ama fare sport e trascorre lunghe giornate all’aperto. Specialmente lunghi viaggi in bicicletta. Quando non è in viaggio, esegue lavori manuali di bricolage. Coniugato, ama la propria famiglia. Si è dedicato alla scrittura quando ha saputo della transessualità della propria figlia.
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