Racconti di vita, riflessioni, visioni, canzoni, allucinazioni, esperienze, si susseguono dentro pensieri liberi attraverso una voce poetica. Un vero viaggio nel “1970” dentro e fuori da sé di un ragazzo che diventerà un uomo, un cherubino trascinato dalla passione per la musica e dall’amore per la sua Monia, in un errare nel tempo tra oscurità e bagliori, desiderio e incanto, dove diventa necessario: “liberarsi di tutto. Scarnificare il più possibile. Arrivare all’essenza delle cose. Alla semplicità. Essere ingenui e curiosi come i bambini. Essere bambini. Poter giocare nello spazio della propria mente. Poter giocare con la verità, nel cortile davanti casa. Essere bambini grandi. Vedere la meraviglia delle cose. Vedere tutto più grande di noi. Toccare tutto. Conoscere tutto. Avidi di ogni cosa. Puri. Togliere le croste che soffocano la nostra anima. Liberarsi dei sedimenti che rivestono il nostro corpo.”
Gabriele Zambon è nato a Padova nel 1947 in Via Danieletti 118. Già dai tempi del liceo scientifico inizia a suonare con I Royals e a comporre canzoni. Con “La voce del padrone” escono tre 45 giri: Una porta chiusa/La nostra vita (1966) Io non saprò/Oggi, ieri, domani (1967) Mrs Robinson/Le stelle del cielo (1968). Partecipa con I Royals al film televisivo Totò Ciak e al carosello “Innocenti” (Motorino “Lui”). Premiati come miglior gruppo musicale veneto nel 1967. Nel 1969 lascia la band per dedicarsi agli studi universitari di Medicina. Nel 1998 la Kramps Record si accorda per pubblicare il CD Tributo ad Allen Ginsberg che Zambon registra a Venezia. Il progetto non si finalizza. Da allora fino ai giorni nostri, a parte il lavoro di medico/odontoiatra, continua a suonare per puro diletto e a comporre canzoni.
In copertina: Dopo l’amore, Ginio, 1973.
mario.beninca –
Davvero un bel libro,da leggere tutto d’un fiato : Gabriele Zambon poeta e musicista , ci racconta un periodo molto intenso e importante della propria vita , quella fine anni ’60 tanto celebrata e a.volte a dismisura osannata. Lo racconta con un linguaggio forte , a tratti intenso , psichedelico ma profondamente sincero . Un vortice di emozioni ed affetti , in perfetto stile Beat !
–benincasabb@libero.it
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alda pellegrinelli –
“Ho scritto queste cose forse perché è tardi./ La stagione cambia./ Io continuerò così./ Mi vestirò più pesante quando arriverà il freddo. Andrò in piazza a prendermi le castagne calde. Mi scalderò le mani. …”, così scrive Gabriele Zambon nel suo 1970. Parole che sanno di amaro, di interrogativi non risolti, di consuntivo della vita dove molto resta senza apparente ragione e comunque lo si accetta con la saggezza degli anni perché la vera ragione di tutto sta nella vita stessa.
Eppure il senso proprio di questo romanzo breve di Zambon (il primo dato alle stampe), romanzo che riassume la somma di interrogativi non risolti dell’uomo/scrittore, si può trovare nelle due poesie che aprono e chiudono lo scritto: la prima (Tu sarai già grande ormai) è una poesia d’amore, colma di rimpianto per qualcuno e qualcosa che non sono più, che appartengono al ricordo; la seconda (Via Danieletti 118) è un tuffo nel passato, quello che non si può dimenticare perché ha rappresentato il luogo sicuro dell’infanzia e dell’adolescenza oltre che il luogo sicuro immutato e immutabile della famiglia d’origine (…ti amo piccola strada/ calda come il vapore di un bagno/ piccola nuvola eterna/ silenziosa rivelazione.).
Tra questi due estremi del libro, si svolge, con la forza delle parole e delle immagini, un rapido flusso di pensieri tutti raccolti attorno a un periodo particolare della vita dello scrittore, quegli anni (riassunti nel titolo 1970) in cui egli, poco più che ventenne, fa le prime esperienze nel mondo della musica – che rimane ancora la sua grande passione – ma anche nel mondo dei sentimenti.
L’amore in molte sue sfumature è una componente essenziale della narrazione: quello delicato come un battito d’ali (… ora non faccio altro che aspettarla. Ho tanta voglia di essere inondato dalla sua bontà, dalla sua sincerità, dal suo amore.); o quello forte e violento quasi tormento del corpo e dell’anima (Al posto delle canne d’acciaio mille bocche di donne aperte in un lamento senza fine…). Altra componente è il tutto dei ricordi della giovinezza a volte vissuta fino all’estremo limite, quando l’esperienza delle droghe porta a confondere realtà e immaginario. Il periodare allora si fa rapido, asciutto, non indulge ad alcun compiacimento letterario, piuttosto si accompagna con durezza ai passaggi di un vivere che spesso lascia il reale per incamminarsi sulla via del sogno. Ma cos’altro è il vivere se non un lungo sognare e desiderare (Mi hai promesso il successo e la celebrità. Come potevo non desiderarti?)?
Anni dunque, quelli narrati da Gabriele Zambon, molto intensi, come solo possono essere per chi li ha vissuti in prima persona. Anni che rappresentano ancora oggi l’eredità diretta della Beat Generation (non è casuale la dedica del libro né casuale è lo stile), di quelle forme originali che rivoluzionarono il mondo giovanile – e non solo – nelle abitudini di vita, nei costumi, nella morale, nello stesso linguaggio, quindi nella comunicazione in generale oltre che naturalmente nella musica; sono gli anni di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs, solo per ricordare i maggiori esponenti della B. G.. Questo è il quadro d’insieme in cui si colloca 1970.
Alda Pellegrinelli
nicola –
Carissimo Lele,
Bum Bum !
Ti ringrazio molto di avermi inviato il tuo scritto 1970 !
Che davvero quegli anni non dimostra, anzi direi che sembra scritto
in questi giorni, in era covid, sia per forma che per contenuto.
Se è vero infatti che anche nel 1970 c’erano i “brutti trip”, cioè
i viaggi che andavano male per qualche elemento negativo,
soggettivo o esterno, l’ideologia dominante voleva comunque
un’espansione della coscienza, l’impersonare una Nuova Umanità,
con facoltà potenziate e trascendenti.
Invece in questo tuo scritto,di grande forza poetica,
ci trovo un ‘Futurismo’ splatter, una distopia techno,
un’ipermetanfetaminica (shaboo) stagione d’incubi autodistruttivi, parzialmente
compensata dall’esperienza sessual-amorosa al krokodil – ma anche
potenziata di memoria e concentrazione al NZT48 ! Cioè tutte cose
“sintetiche” attuali.
Ripeto, la ‘poesia’ mi sembra ad alta concentrazione, più surreale che psichedelica.
Ma posso sbagliare, in almeno due sensi: 1) forse anche a quei tempi, appunto,
c’erano questi trip; 2) certo i Led Zeppelin (e i Royals) non erano i Pink Floyd; etc.
Cmq, la verità è che mi sembri più poeta che cantante-musicista !
Ciao caro,
un grande abbraccio !
Nicola